Tesina: La comunicazione: Samuel Beckett

Samuel Beckett è nato a Dublino, il 13 aprile 1906. Dopo gli studi dublinesi, si è trasferito a Parigi, dove ha insegnato inglese. Dopo il ritorno in patria, Beckett ha vissuto anni di viaggi, facendo spola tra Londra e Parigi ed entrando in contatto con le più avanzate avanguardie letterarie del tempo. Dal 1937 si trasferisce a Parigi in via definitiva. Durante l’occupazione, però, i tedeschi ne individuano l’attività sovversiva e l’appoggio al movimento di resistenza: Beckett è costretto a riparare nella zona non occupata, nel Vaucluse, a Roussillon. È il 1942. Di ritorno a Parigi, a guerra terminata, Beckett rimane stordito dal successo mondiale della sua pièce Aspettando Godot, pubblicata nel 1952. Da allora, conduce una vita segregata, rotta raramente da occasioni ufficiali, come l’assegnazione del Nobel per la Letteratura, nel 1969. Beckett è morto il 22 dicembre 1989. Sin dalla sua prima opera, Murphy (1938), Beckett svolge con rigore estremo i temi che faranno da filo conduttore a tutta la sua opera: l’alienazione (produttiva e sociale, dapprima, poi sempre più metafisica, fino a sfiorare una concezione gnostica dell’universo decaduto) è un germe che contamina il linguaggio, vero centro filosofico del lavoro beckettiano. Distorto in ogni modalità, secondo le categorie del grottesco, dell’assurdo e del tragico, esso diventa via via la scena stessa in cui agiscono i personaggi di Beckett, automi e sottouomini che hanno a che fare con il Silenzio, questo motore che pervade la natura stessa del linguaggio medesimo. Spaesanti, metafisicamente sconcertanti, i lavori del grande irlandese spiazzano il lettore e lo introducono in un’atmosfera che sa di ozono, rarefatta fino a essenzializzare ogni gesto e ogni simbolo, che vengono slegati dalla dittatura del Significato. Esemplare, a questo proposito, la trilogia che comprende Molly, Malone muore e L’Innominabile. La rappresentazione tragica della fine dell’umanità, giocata su toni spesso comici, è uno dei lasciti più notevoli di Beckett alla modernità.



Aspettando Godot

“Aspettando Godot”, l’opera in due atti più nota di Beckett, al suo apparire (1952) venne molto discussa, ma oggi è ritenuta una tappa fondamentale del teatro contemporaneo. Si tratta di un’opera estremamente lineare: in aperta campagna due mendicanti, Vladimiro e Estragone, sono in attesa di un certo Godot, che sperano possa fornir loro una certa sistemazione. Il guaio è che tutti e due non hanno alcuna idea di questo Godot, non l’hanno mai visto, e non sono nemmeno sicuri delle data e del luogo dell’appuntamento. Sembra ad un certo punto che l’atteso stia arrivando, ma si tratta di un enigmatico personaggio, un mercante (Pozzo) che porta al guinzaglio un servitore (Lucky), che dopo un po’ di chiacchiere con i due riparte. Finalmente mentre i due continuano ad attendere arriva un ragazzo che comunica che Godot arriverà l’indomani. Così si conclude il primo atto. Il secondo lo ripete in maniera quasi identica: i due mendicanti aspettano, passa nuovamente il mercante con il suo servitore diventato il primo cieco l’altro muto, un altro ragazzo annunzia che Godot arriverà l’indomani. E sui due mendicanti che continuano ad attendere cala il sipario.



Osservazioni di Piergiorgio Belloccio

Beckett è probabilmente l’erede più legittimo di Joyce e Kafka, fondendo e sviluppando con assoluta originalità nella sua ricerca l’ossessione linguistico-espressiva del primo e la dimensione problematica allegorica e grottesca del secondo. Se l’opera di questi maestri esprimeva la crisi dei valori e delle forme esplosa con il primo conflitto europeo, Beckett prende atto della fine di una civiltà che ha concluso il suo ciclo con Auschwitz e Hiroshima. L’operazione dissolutrice di Beckett condotta direttamente sul linguaggio, contro le leggi della comunicazione , contro la letteratura, anzi la cultura nel suo complesso. Tra i bersagli più centrati, la filosofia esistenzialista. Categorie quali la personalità, l’autenticità, la scelta, sono sottoposte ad un sottile e feroce procedimento parodistico che le svuota di significato smascherandole come menzogne consolatorie: l’aut-aut, la scelta, è tra “crepare o crepare”. Questo rifiuto di ogni illusione umanistica o scappatoia metafisica sembra sfociare in un disperato nichilismo. Ma la sua mancanza di prospettiva, il suo no al futuro, significano il rifiuto della perpetuazione di un presente intollerabile, di una vita che è peggiore della morte. Solo una negazione così radicale, totale, è adeguata alla negatività sociale. Essa “grida senza suono che deve essere diversamente”.



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